venerdì 26 ottobre 2012

24.10.2514

"Non li capisco. Giuro, non riesco proprio a capirli. Faccio il mio possibile per rispettare il prossimo, per tentare una via diplomatica di mediazione, per non scadere mai totalmente in una possibile frangia estremista. No, questo lo troverei subdolo... anzi(!), più che subdolo.
Hanno visto cosaha fatto la guerra e quali sono i loro postum e, nonostante ciò, hanno ancora il coraggio di voler imbracciare le armi e versare altro sangue? Il sangue di padri e di mogli, di fratelli e di sorelle, di cugini, di zii, di amici, di bambini e di vecchi. Nonostante loro siano stati i primi a vederne i frutti, hanno il coraggio di voler continuare a seminare questa pazzia? Cosa c'è di sano in tutto ciò? C'è solo altra morte, altro dolore, altro odio, altra vendetta! Come se concimare la terra con il sangue degli uomini potesse far tornare in vita le vittime innocenti. Non accadrà mai, né tanto meno la vendetta riempirà un vuoto nella propria vita. La si insegue, la si rincorre, e quando l'acchiappi, poi, cosa succede? E' solamente uno sbuffo di fumo fra le mani che si dilegua. Tutto ciò non può portare a nulla e, se prima ci si poteva vantare di essere dalla parte giusta, continuare in questo modo ti trasforma in un mostro, peggio dei crimini passati sottobanco quand'è finita la Guerra, quando si chiudevano le porte delle aule e nessuno sapeva cosa accadeva fra i blujacket ed i vari giudici.
Questa notte ero in giro con Lars per Capital City e ci trovavamo nei pressi dell'ospedale. Qui stavamo per fermarci al Caffè Athena, ma qualcosa è successo, qualcosa ha attratto la nostra attenzione più di tutto il resto. Sarà breve, spiegherò a conti fatti. C'era un paziente uscito dal coma dopo 10 anni, scappato dal suo piano dell'ospedale. Lars ha tentato di avvicinarlo e ha scoperto che era di Shije, di una delle tante città bombardate fino allo sfinimento durante la Guerra. Già, in coma da dieci anni, lui nemmeno aveva idea che ci fosse stata la Guerra. Sono andato ad informarmi su questo Adams, ed ho incontrato un'infermiera molto bendisposta, Emma. Lei mi ha spiegato che anche la moglie era presente nell'incidente dell'uomo ma che, al contrario di lui, se la fosse cavata meglio. Ironia della sorte, però, lei è morta durante i bombardamenti sul suo pianeta. A quanto pare Adam l'aveva scoperto, o per lo meno intuito: c'erano molte discrepanze, troppo cose erano differenti. A quanto pare, anche una cartella clinica rubata. Non ha resistito, non c'è l'ha fatta e, mentre stava parlando con Lars, il paziente A ha tentato dibuttarsi sotto un thor. Grazie all'intervento del Touzi non è morto, ma è comunque tornato in coma. In coma, per ben due volte nella sua vita. Chissà se mai un giorno si sveglierà e avrà realmente la possibilità di ricominciare, è così difficile.
Come si può desiderare ardentemente di tornare a fare così male alle persone?
Philip mi rinfaccia che io non posso capire, che devo stare zitto perché non le ho vissute sulla mia pelle. E' vero, ha pienamente ragione su questo; la cosa di cui non si rende conto, però, è che io l'odio e la diffidenza la leggo nei suoi occhi, nel suo sguardo. Non so cosa ha passato, ma so che questo passato l'ha portato a ciò. Allora che male può esserci nel voler sperare di tenere lontane le nuove generazioni, i nuovi bambini, da tutte queste tragedie?"

[Scorcio fra i pensieri di Gab, aspettando le dimissioni di Lars all'ospedale]

domenica 7 ottobre 2012

07.10.2514

"Cher Gabriel,
...credo di doverti delle scuse per essere scomparsa così, presa dai miei impegni personali, tanto da tralasciare qualsiasi altra cosa, compreso il lavoro ad Hall Point.
Un lavoro che ho lasciato ufficialmente, e penso che a questo punto tu l'abbia già saputo.
Ho svuotato sia il mio alloggio che quello di Brent. Non torneremo più.
Fra pochi giorni saremo sposati e lontano da qui. Non so dove andremo, ma abiamo deciso di lottare per il nostro futuro insieme e andremo alla ricerca di un posto migliore. Del posto migliore per noi, per la famiglia che vogliamo.

Gabriel, sono convinta che tu abbia tutte le carte in regola per potercela fare, per poter andare avanti, imparare ancora moltissimo e insegnare moltissimo a chi ti sta accanto.
Io ti auguro di fare le scelte migliori, per te stesso, e tutto il successo che meriti.

Un abbraccio,

Amelie"



"Cara Amelie,
mia buona amica, se me lo concedi, poiché credo che fra noi si stesse stringendo un rapporto più informale da quello professionale. Mi fa molto piacere che tu mi abbia contattato prima di partire, senza lasciarmi nel silenzio dei dubbi taciuti. Spero che tu e Brent possiate trovare il vostro piccolo angolo di pace nel 'Verse e, allo stesso tempo, spero che i nostri contatti non verranno a mancare. Mi piacerebbe tenere i rapporti, anche se magari via cortex principalmente. Se vi stabilirete da qualche parte, sarò lieto di farvi visita quando i miei impegni me lo permetteranno.
Un saluto affettuoso sia a te che a Brent,
Gabriel Gerhard Astrom"



"Mon cher Gabriel,
ti consideravo un amico già da molto tempo e sono lieta che tu possa avere sentito per me la stessa cosa.
Voglio che tu sappia che è stato un onore, e non solo un piacere, lavorare con te, e che, ovunque andremo, la nostra porta sarà sempre aperta per te.

Buon cammino Gabriel. Ti auguro ogni fortuna.

Amelie"

[Scorcio sulla vita di Gab quando Amelie e Brent si dimettono da HP]

giovedì 4 ottobre 2012

Light up the Day

"Illumina la giornata. O qualcosa del genere... così diceva quel tatuaggio che avevi sul petto, vero? E' da molto tempo che non sento più parlare di te, eppure mi ricordo ancora di quando ci incontrammo, di come ci conoscemmo. Sono passati dieci anni da allora, ma giurerei che fosse accaduto solamente ieri.
Io avevo 16 anni appena compiuti, a festeggiare nella nuova residenza su Corona di mio zio materno, mentre tu ne avevi 25 - un bel po' di differenza, insomma, per quell'età - ed eri lì per lavorare all'interno delle stalle, a tenere cura dei cavalli e del campo da corsa, che fosse sempre in ordine, che tutto fosse sempre apposto. Insomma, rischiavi anche di ritrovarti senza lavoro, altrimenti, mi pareva ovvio che ci dassi sotto dalla tua posizione.
Mi ricordo che di te mi attrasse subito il tuo comportamento: la tua sicurezza, il tuo essere un po' menefreghista e spavaldo, il tuo scudo contro il resto del mondo, o la tua forza contro di esso. Di quante cose mi parlavi ed io le sognavo come fossero favole, e non realtà alle quali potevo aspirare allungando la mano. Tu avevi quel pizzico di cui io sentivo il bisogno, quella piccola spinta in più che mi avrebbe aiutato a ricercare la mia felicità, di rompere le mie catene da mio padre, dalla mia famiglia. Da una parte ti invidiavo, dall'altra invece ti ammiravo. Eravamo due realtà differenti, a partire dai mondi di provenienza, i ceti sociali, passando per l'età ed arrivando, infine, alla mia ingenuità da sognatore ed alla tua esperenzia maturata troppo velocemente.
Io, per starti vicino, approfittavo di ogni momento per imparare a cavalcare. Insomma, non sono diventato certo un cowboy, ma se sono capace di restare in sella e di domare un cavallo, lo debbo a te. Chissà com'è, sembra che riesco ad instaurare un feeling migliore con gli animali, invece che con le persone. Comunque, sono abbastanza sicuro di come tu ti sia accorto dei miei sguardi, dei miei imbarazzi, della mia gola secca e delle mie mani sudate. Oh, tu avevi quell'esperienza che a me mancava, fatta sul campo. Oltre alle lezioni di equitazione, venivo spesso anche dentro le stalle, a parlare dei cavalli, di quello che mi aveva gentilmente concesso lo zio, sotto mia richiesta, ma anche di tutti gli altri. Credo che, in realtà, 3/4 delle cose che mi hai detto io non le abbia realmente ascoltate, immagazzinate.
E poi? Alla fine accadde il fattaccio: ci ritrovammo a strofinare le nostri pelle nude, in mezzo al fieno, ad accarezzare le nostre labbra in gemiti muti. Ogni incontro era segreto, furtivo, come se fosse alla soglia dell'illegalità, una condizione illecita che rendeva il tutto così eccitante ai miei occhi. Mi sentivo libero e, allo stesso tempo, sicuro. Sentivo il mio cuore battere di una gioia che prima non avevo provato. Avevo fatto la mia scelta ed era stato il tempo stesso a dettarla, con le sue esperienze e le sue occasioni. Comunque, nessuno doveva sapere niente, altrimenti avremmo rischiato entrambi. Beh, probabilmente tu più di me, indubbiamente. Che fosse stata una relazione seria, oppure una semplice cotta estiva, tutto sarebbe dovuto rimanere stretto fra quelle mura di legno, dove i cavalli non avrebbero parlato a nessuno del nostro segreto, così pressante e pregnante che mi sembrava che ogni oggetto, lì dentro, si identificasse con noi due. Io non avevo occhi per altro. Non mi rendevo conto di cos'altro accadesse attorno a me.
Alla fine, come è giusto che accade, tutti ci svegliamo dal sonno, ponendo fine ai nostri sogni. Stava finendo la stagione, io me ne sarei tornato a casa con la mia famiglia, magari noi ci saremmo incontrati saltuariamente, almeno per gli inizi, nelle mie varie visite allo zio materno, nella sua tenuta su Corona. Venni a cercarti per parlarti ma non ti trovai. In cambio c'era mio padre. Mi si gelò il sangue nelle vene quando lo vidi lì, nella stalla, fra i cavalli, la dove si ergeva il nostro intimo tempio, dove consumavamo i nostri momenti sacrali. Affinai le labbra e deglutì, poi abbassai il capo come un cane di fronte al padrone con la mazza. Le mie scorribande erano finite. Mio padre mi disse che niente sarebbe uscito fuori da quelle mura, che nessuno avrebbe saputo niente di questa storia. Non gliene fregava nulla di chi si intrufolasse nel mio letto, che questa era una semplice sbandata adolescenziale e che, per il bene della famiglia, io avrei avuto una donna adatta al mio ceto sociale, al mio fianco, con la quale avere dei figli.
Mi piacerebbe avere dei figli, una famiglia un giorno, ma so è una parentesi che non mi va di aprire in questo momento.
Insomma, alla fine uscì fuori che mio padre ti aveva pagato profumatamente per andartene, per sparire e stare zitto, e che tu avevi accettato tutto senza nemmeno fiatare. Alla fine uscì fuori che tu eri un cacciatore di dote, che prima di me ci avevi provato con Vivi senza cavarne niente, però. Io ero lo sciocco, l'ingenuo, il sognatore, quello con la testa fra le nebulose, preda ambita ma facile che ti avrebbe saziato. Con me c'eri riuscito... e poi sei andato via senza nemmeno la tua dote, ma con un bel po' di soldi per ricominciare bene da qualche altra parte, a cercare la fortuna a cui auspicavi. Se non ero io, sarebbe stato un altro, od un'altra? Beh, non importa. Il fatto vuole che è stato comunque il mio cuore quello ad essere trafugato. Nessun addio, nemmeno una lettera scritta. Hai fatto perdere subito le tue tracce ed io non ho voluto inseguirti.
Dopo di te non ci fu nient'altro. Si, mi capitò qualche storia, anche qualche relazione promisqua a dire il vero, ma niente di serio e duraturo, il semplice bisogno impellente, alle volte, di mettere a tacere i miei bisogni fisiologici. Niente di più, tutto che nacque e morì nell'istante della necessità. Il mio cuore fu trafugato dieci anni fa, circa. Anzi, per meglio dire: io lo donai a te, probabilmente finì nei tuoi panni sporchi e sdrucidi che portavano l'odore tuo, del lavoro, ed il mio, della mia passione. Quando avrai fatto le valigie per partire, probabilmente, non ti sei nemmeno accorto che era dentro la tasca di un jeans, o di una camicia. Oppure, chissà, l'hai abbandonato da qualche parte quando hai comprato degli abiti nuovi, pregiati e puliti, profumati, ora che te li potevi permettere.
Ed il mio cuore, chissà, dov'è rimasto..."

[Scorcio sull'adolescenza di Gab, la sua prima esperienza]