venerdì 26 ottobre 2012

24.10.2514

"Non li capisco. Giuro, non riesco proprio a capirli. Faccio il mio possibile per rispettare il prossimo, per tentare una via diplomatica di mediazione, per non scadere mai totalmente in una possibile frangia estremista. No, questo lo troverei subdolo... anzi(!), più che subdolo.
Hanno visto cosaha fatto la guerra e quali sono i loro postum e, nonostante ciò, hanno ancora il coraggio di voler imbracciare le armi e versare altro sangue? Il sangue di padri e di mogli, di fratelli e di sorelle, di cugini, di zii, di amici, di bambini e di vecchi. Nonostante loro siano stati i primi a vederne i frutti, hanno il coraggio di voler continuare a seminare questa pazzia? Cosa c'è di sano in tutto ciò? C'è solo altra morte, altro dolore, altro odio, altra vendetta! Come se concimare la terra con il sangue degli uomini potesse far tornare in vita le vittime innocenti. Non accadrà mai, né tanto meno la vendetta riempirà un vuoto nella propria vita. La si insegue, la si rincorre, e quando l'acchiappi, poi, cosa succede? E' solamente uno sbuffo di fumo fra le mani che si dilegua. Tutto ciò non può portare a nulla e, se prima ci si poteva vantare di essere dalla parte giusta, continuare in questo modo ti trasforma in un mostro, peggio dei crimini passati sottobanco quand'è finita la Guerra, quando si chiudevano le porte delle aule e nessuno sapeva cosa accadeva fra i blujacket ed i vari giudici.
Questa notte ero in giro con Lars per Capital City e ci trovavamo nei pressi dell'ospedale. Qui stavamo per fermarci al Caffè Athena, ma qualcosa è successo, qualcosa ha attratto la nostra attenzione più di tutto il resto. Sarà breve, spiegherò a conti fatti. C'era un paziente uscito dal coma dopo 10 anni, scappato dal suo piano dell'ospedale. Lars ha tentato di avvicinarlo e ha scoperto che era di Shije, di una delle tante città bombardate fino allo sfinimento durante la Guerra. Già, in coma da dieci anni, lui nemmeno aveva idea che ci fosse stata la Guerra. Sono andato ad informarmi su questo Adams, ed ho incontrato un'infermiera molto bendisposta, Emma. Lei mi ha spiegato che anche la moglie era presente nell'incidente dell'uomo ma che, al contrario di lui, se la fosse cavata meglio. Ironia della sorte, però, lei è morta durante i bombardamenti sul suo pianeta. A quanto pare Adam l'aveva scoperto, o per lo meno intuito: c'erano molte discrepanze, troppo cose erano differenti. A quanto pare, anche una cartella clinica rubata. Non ha resistito, non c'è l'ha fatta e, mentre stava parlando con Lars, il paziente A ha tentato dibuttarsi sotto un thor. Grazie all'intervento del Touzi non è morto, ma è comunque tornato in coma. In coma, per ben due volte nella sua vita. Chissà se mai un giorno si sveglierà e avrà realmente la possibilità di ricominciare, è così difficile.
Come si può desiderare ardentemente di tornare a fare così male alle persone?
Philip mi rinfaccia che io non posso capire, che devo stare zitto perché non le ho vissute sulla mia pelle. E' vero, ha pienamente ragione su questo; la cosa di cui non si rende conto, però, è che io l'odio e la diffidenza la leggo nei suoi occhi, nel suo sguardo. Non so cosa ha passato, ma so che questo passato l'ha portato a ciò. Allora che male può esserci nel voler sperare di tenere lontane le nuove generazioni, i nuovi bambini, da tutte queste tragedie?"

[Scorcio fra i pensieri di Gab, aspettando le dimissioni di Lars all'ospedale]

domenica 7 ottobre 2012

07.10.2514

"Cher Gabriel,
...credo di doverti delle scuse per essere scomparsa così, presa dai miei impegni personali, tanto da tralasciare qualsiasi altra cosa, compreso il lavoro ad Hall Point.
Un lavoro che ho lasciato ufficialmente, e penso che a questo punto tu l'abbia già saputo.
Ho svuotato sia il mio alloggio che quello di Brent. Non torneremo più.
Fra pochi giorni saremo sposati e lontano da qui. Non so dove andremo, ma abiamo deciso di lottare per il nostro futuro insieme e andremo alla ricerca di un posto migliore. Del posto migliore per noi, per la famiglia che vogliamo.

Gabriel, sono convinta che tu abbia tutte le carte in regola per potercela fare, per poter andare avanti, imparare ancora moltissimo e insegnare moltissimo a chi ti sta accanto.
Io ti auguro di fare le scelte migliori, per te stesso, e tutto il successo che meriti.

Un abbraccio,

Amelie"



"Cara Amelie,
mia buona amica, se me lo concedi, poiché credo che fra noi si stesse stringendo un rapporto più informale da quello professionale. Mi fa molto piacere che tu mi abbia contattato prima di partire, senza lasciarmi nel silenzio dei dubbi taciuti. Spero che tu e Brent possiate trovare il vostro piccolo angolo di pace nel 'Verse e, allo stesso tempo, spero che i nostri contatti non verranno a mancare. Mi piacerebbe tenere i rapporti, anche se magari via cortex principalmente. Se vi stabilirete da qualche parte, sarò lieto di farvi visita quando i miei impegni me lo permetteranno.
Un saluto affettuoso sia a te che a Brent,
Gabriel Gerhard Astrom"



"Mon cher Gabriel,
ti consideravo un amico già da molto tempo e sono lieta che tu possa avere sentito per me la stessa cosa.
Voglio che tu sappia che è stato un onore, e non solo un piacere, lavorare con te, e che, ovunque andremo, la nostra porta sarà sempre aperta per te.

Buon cammino Gabriel. Ti auguro ogni fortuna.

Amelie"

[Scorcio sulla vita di Gab quando Amelie e Brent si dimettono da HP]

giovedì 4 ottobre 2012

Light up the Day

"Illumina la giornata. O qualcosa del genere... così diceva quel tatuaggio che avevi sul petto, vero? E' da molto tempo che non sento più parlare di te, eppure mi ricordo ancora di quando ci incontrammo, di come ci conoscemmo. Sono passati dieci anni da allora, ma giurerei che fosse accaduto solamente ieri.
Io avevo 16 anni appena compiuti, a festeggiare nella nuova residenza su Corona di mio zio materno, mentre tu ne avevi 25 - un bel po' di differenza, insomma, per quell'età - ed eri lì per lavorare all'interno delle stalle, a tenere cura dei cavalli e del campo da corsa, che fosse sempre in ordine, che tutto fosse sempre apposto. Insomma, rischiavi anche di ritrovarti senza lavoro, altrimenti, mi pareva ovvio che ci dassi sotto dalla tua posizione.
Mi ricordo che di te mi attrasse subito il tuo comportamento: la tua sicurezza, il tuo essere un po' menefreghista e spavaldo, il tuo scudo contro il resto del mondo, o la tua forza contro di esso. Di quante cose mi parlavi ed io le sognavo come fossero favole, e non realtà alle quali potevo aspirare allungando la mano. Tu avevi quel pizzico di cui io sentivo il bisogno, quella piccola spinta in più che mi avrebbe aiutato a ricercare la mia felicità, di rompere le mie catene da mio padre, dalla mia famiglia. Da una parte ti invidiavo, dall'altra invece ti ammiravo. Eravamo due realtà differenti, a partire dai mondi di provenienza, i ceti sociali, passando per l'età ed arrivando, infine, alla mia ingenuità da sognatore ed alla tua esperenzia maturata troppo velocemente.
Io, per starti vicino, approfittavo di ogni momento per imparare a cavalcare. Insomma, non sono diventato certo un cowboy, ma se sono capace di restare in sella e di domare un cavallo, lo debbo a te. Chissà com'è, sembra che riesco ad instaurare un feeling migliore con gli animali, invece che con le persone. Comunque, sono abbastanza sicuro di come tu ti sia accorto dei miei sguardi, dei miei imbarazzi, della mia gola secca e delle mie mani sudate. Oh, tu avevi quell'esperienza che a me mancava, fatta sul campo. Oltre alle lezioni di equitazione, venivo spesso anche dentro le stalle, a parlare dei cavalli, di quello che mi aveva gentilmente concesso lo zio, sotto mia richiesta, ma anche di tutti gli altri. Credo che, in realtà, 3/4 delle cose che mi hai detto io non le abbia realmente ascoltate, immagazzinate.
E poi? Alla fine accadde il fattaccio: ci ritrovammo a strofinare le nostri pelle nude, in mezzo al fieno, ad accarezzare le nostre labbra in gemiti muti. Ogni incontro era segreto, furtivo, come se fosse alla soglia dell'illegalità, una condizione illecita che rendeva il tutto così eccitante ai miei occhi. Mi sentivo libero e, allo stesso tempo, sicuro. Sentivo il mio cuore battere di una gioia che prima non avevo provato. Avevo fatto la mia scelta ed era stato il tempo stesso a dettarla, con le sue esperienze e le sue occasioni. Comunque, nessuno doveva sapere niente, altrimenti avremmo rischiato entrambi. Beh, probabilmente tu più di me, indubbiamente. Che fosse stata una relazione seria, oppure una semplice cotta estiva, tutto sarebbe dovuto rimanere stretto fra quelle mura di legno, dove i cavalli non avrebbero parlato a nessuno del nostro segreto, così pressante e pregnante che mi sembrava che ogni oggetto, lì dentro, si identificasse con noi due. Io non avevo occhi per altro. Non mi rendevo conto di cos'altro accadesse attorno a me.
Alla fine, come è giusto che accade, tutti ci svegliamo dal sonno, ponendo fine ai nostri sogni. Stava finendo la stagione, io me ne sarei tornato a casa con la mia famiglia, magari noi ci saremmo incontrati saltuariamente, almeno per gli inizi, nelle mie varie visite allo zio materno, nella sua tenuta su Corona. Venni a cercarti per parlarti ma non ti trovai. In cambio c'era mio padre. Mi si gelò il sangue nelle vene quando lo vidi lì, nella stalla, fra i cavalli, la dove si ergeva il nostro intimo tempio, dove consumavamo i nostri momenti sacrali. Affinai le labbra e deglutì, poi abbassai il capo come un cane di fronte al padrone con la mazza. Le mie scorribande erano finite. Mio padre mi disse che niente sarebbe uscito fuori da quelle mura, che nessuno avrebbe saputo niente di questa storia. Non gliene fregava nulla di chi si intrufolasse nel mio letto, che questa era una semplice sbandata adolescenziale e che, per il bene della famiglia, io avrei avuto una donna adatta al mio ceto sociale, al mio fianco, con la quale avere dei figli.
Mi piacerebbe avere dei figli, una famiglia un giorno, ma so è una parentesi che non mi va di aprire in questo momento.
Insomma, alla fine uscì fuori che mio padre ti aveva pagato profumatamente per andartene, per sparire e stare zitto, e che tu avevi accettato tutto senza nemmeno fiatare. Alla fine uscì fuori che tu eri un cacciatore di dote, che prima di me ci avevi provato con Vivi senza cavarne niente, però. Io ero lo sciocco, l'ingenuo, il sognatore, quello con la testa fra le nebulose, preda ambita ma facile che ti avrebbe saziato. Con me c'eri riuscito... e poi sei andato via senza nemmeno la tua dote, ma con un bel po' di soldi per ricominciare bene da qualche altra parte, a cercare la fortuna a cui auspicavi. Se non ero io, sarebbe stato un altro, od un'altra? Beh, non importa. Il fatto vuole che è stato comunque il mio cuore quello ad essere trafugato. Nessun addio, nemmeno una lettera scritta. Hai fatto perdere subito le tue tracce ed io non ho voluto inseguirti.
Dopo di te non ci fu nient'altro. Si, mi capitò qualche storia, anche qualche relazione promisqua a dire il vero, ma niente di serio e duraturo, il semplice bisogno impellente, alle volte, di mettere a tacere i miei bisogni fisiologici. Niente di più, tutto che nacque e morì nell'istante della necessità. Il mio cuore fu trafugato dieci anni fa, circa. Anzi, per meglio dire: io lo donai a te, probabilmente finì nei tuoi panni sporchi e sdrucidi che portavano l'odore tuo, del lavoro, ed il mio, della mia passione. Quando avrai fatto le valigie per partire, probabilmente, non ti sei nemmeno accorto che era dentro la tasca di un jeans, o di una camicia. Oppure, chissà, l'hai abbandonato da qualche parte quando hai comprato degli abiti nuovi, pregiati e puliti, profumati, ora che te li potevi permettere.
Ed il mio cuore, chissà, dov'è rimasto..."

[Scorcio sull'adolescenza di Gab, la sua prima esperienza]

giovedì 27 settembre 2012

27.09.2514

"E' tempo dei festeggiamenti. Buon Esodo a tutti voi!
E' la serata dei falò. Si si, mi trovo nel Border, più precisamente ad Oak Town di Greenfield. Ho passato non so quanti anni nel 'Core a lanciare fiammelle nel cielo, ed ora ho il desiderio di potermi godere un ben falò. O, per lo meno, lo vedrò da lontano, dato che, come capita ormai da un po' di anni, non mi organizzo più con nessuno per l'Exodus Day. Con chi mi dovrei organizzare, in fin dei conti? Non ho una conoscenza, un'amicizia, una relazione così profonda. Però... però si, un po' mi manca prendere quei palloncini aerostatici e lanciarli in aria. Tutte quelle luci, solo quelle luci, a brillare più forte delle stelle, una di fianco all'altra.
Quand'ero piccolo, mio padre non faceva altro che sfoggiare me e Vivi durante questo periodo. Ci faceva esibire, almeno su questa cosa sembrava andare abbastanza fiero. No, non s'è mai congratulato con noi e, il più delle volte, quel pubblico di altolocati signorotti stringeva le mani direttamente a nostro padre; ci guardavano, ci ascoltavano, ma niente di più. Si avvicinavano a lui e si mettevano a sviolinare su quanto fossero ben vestiti i gemelli, su quanto fossero beneducati i gemelli, su quanto fossero dotati i gemelli. Eppure, nonostante fossimo in prima linea, sembrava che non ci dessero nemmeno retta, come se fossimo stati dei pezzi da mobilio...
Fu Amah a farci comprendere - me e Vivi - il potenziale significato dell'Exodus Day. Io già da allora mi chiedevo perché l'essere umano fosse sopravvissuto e lo maledicevo. Insomma, ai miei occhi non sembrava niente di così tanto importante! Vedevo attorno a me solo gente di facciata, più falsa dei capelli di Okrand Wolendar. Dai, non ditemi che non si capiva che fosse un parrucchino quello...
Comunque, dicevo? Ah si! Parlavo di Amah. Lei ci insegnò il valore e la bellezza di questo giorno. Per lo meno, a passarlo insieme e felici, un momento in più in cui rafforzare il nostro sodalizio di affetto, cercando di far s che tutta quella realtà da salotto non finisse col farci divenire vittime di noi stessi. Per il 27, come ogni 27, ci insegnò una tradizione che si usava in tempi più antichi, la quale probabilmente viene ripresa dall'attuale, di quella che avverrà questa sera. In poche parole, all'interno di queste lanterne volanti si aggiunge un piccolo pezzo di pergamena sul quale scriviamo un nostro sogno. Non va detto a nessuno, non va raccontato. Va semplicemente affidato alla fiamma purificatrice ed al vento che bisbiglia ai sognatori, ai pazzi ed agli Dei. Ormai sono anni che non affido più i sogni a questa tradizione.
Uh? Cosa chiedevo? Beh, ecco... all'inizio speravo in un rapporto migliore, sano, con mio padre. Poi passai al desiderio di ritrovare mia sorella, ovunque fosse spera nel 'Verse, lontana da me. Adesso? Adesso ho smesso, l'ho già detto no. Sono cresciuto, no? Non è più tempo per le favole. Mi piacerebbe, ma non lo è. E poi... e poi non saprei più che chiedere! Mi sembra di essere diventato spoglio di desideri, di sogni, come se ne fossi incapace. E' una brutta cosa? Se apparisse una fata madrina, ora, in questo momento, forse l'unica cosa che potrei chiederle è: Desidero di avere un desiderio. E' triste secondo voi? Io non lo so.
Nah. Niente soldi! Che me ne faccio? Anzi, ringrazio il cielo che mio padre mi abbia diseredato ed allontanato dalla famiglia. Forse era la cosa migliore a cui potessi auspicare; restare con loro mi avrebbe solo che fatto ancora più male. Uhm... l'amore dite? Nah. Non so se sono più capace di riprovare dei sentimenti. Sapete, da quando ho saputo la verità su quella persona... ah. No, lasciamo perdere: è un'altra storia ancora. Il lavoro è l'unica nota benigna, positiva. Almeno faccio quello che desidero fare veramente: suonare. E mi permette di viaggiare, di vedermi un po' attorno nel 'Verse.
Per il resto... non saprei. Non saprei davvero..."

[Scorcio fra i pensieri di Gab, due giorni prima dell'Exodus Day]

giovedì 20 settembre 2012

19.09.2514

"Segreti. Ancora segreti. Altri segreti.
Va bene, mi hanno insegnato ad essere discreto, mi hanno insegnato quanto sia importante detenere il sapere, poiché esso è potere, soprattutto quello nascosto, tenuto in ombra così che tutti non sappiano la realtà ma... il mio essere discreto rischia di crollare da un momento all'altro.
Insomma, da quando ero piccolo ad ora, mai troppi ne ho custoditi, mai troppi sono riuscito a trattenere dentro di me. Quante volte mi sono confidati con Vivi, oppure con Amah più di tutti. Lei mi ascoltava, mi cullava dolce fra le sue premure e poi sapeva darmi buoni consigli. Mio padre... beh, lui più che altro li scopriva e basta. Mia madre non se né mai fregata, inutile sopraggiungere altro in merito.
Ed oggi l'ultima novità: la Sala Crisi del Blue Sun Building di CapCity. E... e... e... che diamine era quella cosa? Da come ne parlava Charlotte, sembrava davvero tremenda all'inizio, qualcosa di indicibile, di incredibile, di inenarrabile. Ha detto che era una minaccia firmata Weyland, qualcosa di non umano. Cosa intendeva dire per non umano? Un'entità artificiale? Uff... dopo aver saputo della presenza di scorpioni mutanti su Greenfield, non saprei più cosa aspettarmi a questo punto. Stiamo andando oltre, stiamo andando troppo oltre come esseri umani. I demoni si travestono da scienza e da progresso e noi lasciamo prenderci in contropiede, cadendo nelle loro trappole. Forse è vero: ci sono dei limiti dai quali, una volta superati, non si può più tornare indietro.
Un grande schermo nero, delle lettere ad intendere le sue frasi. Come tanti elettroshock. Brr... deve essere stato orribile.Chiedeva aiuto, per giunta. Aiuto di che cosa, però? Troppe cose, segreti ed altri segreti. Multiplanetarie, tsk. Possono anche starci persone per bene dietro, volendo, sperando, ma come si potrebbe fare altrimenti? Qui si parla di informazioni che forse saranno per sempre occultate, oppure distorte. Ed io? Io sono un semplice pianista. Io voglio restare un semplice pianista! Questa è la vita che fa per me. Punto e basta.
Poi ci sono stati gli incontri con Evah, le sue intenzioni nei confronti del futuro. Non ho detto niente a nessuno ma... ho paura di quella donna. Incomincio ad averne paura. Parlava di piani che non riesco a comprendere tutt'ora, la serietà e la semplicità con cui ne parlava, come se fosse una cosa normale. E' questo l'effetto del potere? Spero di non finirne intrappolato. Forse dovrei trovare un confidente, oppure una guida. No, non posso disturbare Amelie adesso, ha i suoi pensieri e le sue preoccupazioni. Sono pesanti e vanno gestiti con il giusto tempo.
Spero tanto che Hall Point non mi costringa mai fino a questo punto. Non saprei reggere..."

[Scorcio fra i pensieri di Gab, all'uscita del Blue Sun Building]

sabato 8 settembre 2012

07.09.2514

"E' stata una serata piacevole, anche se al quanto faticosa. Tanti volti, alcuni conosciuti anche se di striscio, altri semplicemente rinomati e quindi distinguibili, altri ancora di cui non sapevo neppure l'esistenza. Beh, lo so, ero lì per lavoro, mica per divertirmi! Quando suono, però, sono abbastanza sicuro e, per quella scaletta, avevo provato e riprovato tempo addietro. Temevo che il periodo su Greenfield mi avesse un po' arrugginito, dato che non ho potuto suonare, ma alla fine è andato tutto per il meglio; a quanto pare la scelta dei brani è stata molto apprezzata.
Per tutte le Grandi Leggi Universali! Ho suonato alla sede della Shouye di Horyzon come esterno! Mi sono esibito per una serata organizzata dalla Blue Sun, sotto richiesta della ViceCEO! Quando la proposta mi fu allungata, il mio cuore batteva all'impazzata nel petto. Mr Wolfwood in persona, con Amelie che mi guardava piena di orgoglio e soddisfatta. Mi avesse mai guardato mia madre così... ah."

[...]

"Sniff... comunque, beh, dicevo... è stata una gran bella soddisfazione. Continuo a fare quello che mi piace: suonare. Ora, per giunta, vengo anche riconosciuto, apprezzato, ricercato. E' una gran bella nomea quella di cui posso iniziare a vantarmi piano piano. Dal punto di vista professionale, sto rafforzando la mia maschera, la mia figura lavorativa. Credo, spero, di stare maturando tutto il necessario: serietà e qualità. Beh, si, certo, ovvio che mi fa comodo. Non parlo a livello monetario, non ho bisogno di essere ricchissimo - non vorrei mai diventare taccagno come mio padre - ma questo mi permette di andare avanti sulla mia strada senza interferenze. Penso che si capisca che intendo, no? Se non riuscissi a lavorare con il pianoforte, dovrei trovare un modo di campare alternativo. Non ho grandi qualità, al di fuori della musica, io credo ma... no, non c'entra adesso. Quello che intendo dire è: se dovessi avere un lavoro che richiede attenzione e risucchia le mie energie altrove, come potrei mai dedicarmi al pianoforte? Difficile, quasi impossibile. Metodica, pazienza, allenamento. Se smettessi diventerebbe un hobby, non una passione, ed io non voglio che accada questo. Insomma, si, sono felice, e chissà quante volte l'avrò ripetuto, ma non tengo il conto e non mi va di mandare indietro la registrazione, sono troppo pigro. Sono cose che faccio quando scrivo, ma questo diario tanto rimane per me, per nessun'altro, quindi... quindi sto divagando. Si vede che ho finito di dire quello che debbo dire. Che ci posso fare, è più quello che si ha dentro che quello che si ha fuori. Fa nulla. Fa niente. Ho finifot qui, un regalo a me stesso..."

[Scorcio sulla giornata di Gab, dopo il gala avvenuto alla Shouye]

martedì 28 agosto 2012

28.08.2514

"E' un periodo proficuo, a quanto pare. Finalmente, dopo qualche anno passato ad arrancare, le mie doti e le mie qualità da pianista stanno venendo riconosciute; non è più un semplice voto su dei documenti virtuali. Ho stipulato un secondo contratto da free-lancer con lo Skyplex HP, mentre Charlotte mi ha cercato per propormi un paio di serate organizzate dalla Blue Sun, sempre come pianista. Devo aver fatto colpo, insomma, o le voci su di me si stanno spargendo, oppure mi ha sentito suonare ed è rimasta colpita. Beh, no no, non saprei spiegarmi altro, perché mai?"

[...]

"Ah, si! Certo certo, la mia raccolta di poesie: Lo Spettro del Grigio. E' passato più di un anno, quasi non ci speravo più insomma, eppure è andata in porto alla fine. La casa editrice mi ha contattato pochi giorni fa per darmi un responso delle vendite e dei vari tabulati conformi da contratto; mi ha confermato che è andato bene per un autore senza passato alle prime armi e, dopo un discorso al quanto concitato, mi ha proposto un nuovo contratto per una futura pubblicazione! No, non ho mai smesso di scrivere, anche se lo faccio solo in secondo piano, in quanto la musica è la mia prima passione, la mia anima, ciò di cui voglio vivere. Sto finendo di preparare la prima bozza da mandare via cortex alla casa editrice, iniziando così i vari progetti per il futuro e-book. Ci vorrà un po', l'esperienza passata me l'ha insegnato, quindi credo che per vederlo ultimato, bisognerà aspettare l'anno venturo. Credo, già."

[...]

 "Sono stato molto fortunato, me ne rendo conto. Ci sono molti artisti di talento che non vengono riconosciuti dalla società così presto. No, non mi sto montando la testa - spero! - però sto notando come alcune cose, piano piano, siano iniziate a cambiare attorno a me. Le tipologie di contratto, le persone che incontro e gli apprezzamenti, nonché il mio nome qualche volta sentito per caso da bocche estranee. Non l'avrei mai detto, insomma, mi viene difficile crederlo tutt'ora! E poi c'è anche un'altra questione, per finire, sempre lavorativa. No, non vi parlerò di altro, è giusto un accenno vago come accaduto per la Blue Sun e la nuova pubblicazione: mi è stato caldamente consigliato di mantenere la riservatezza più totale. Dico solo una cosa: suonare e viaggiare. Viaggiare e suonare. Eheheheheheheh... lo so, è una meraviglia. Lavoro, passioni e divertimento; cosa potrebbe mai mancare?"

[Scorcio sugli ultimi avvenimenti nella vita di Gab]

martedì 24 luglio 2012

Avrei Tanto Voluto Piangere

Gabriel si trovava in un letto d'ospedale, con la pancia tutta sotto-sopra a causa della lavanda gastrica che gli era stata fatta la sera prima. Aveva passato una notte intera ad andare e venire dal bagno, senza riuscire a dormire nemmeno per mezz'ora di fila. La mattina dopo era crollato per la stanchezza ma, nonostante ciò, continuava ad alzarsi di tanto in tanto per andare ad epurare gli eccessi che il corpo stava tentando di eliminare. Alla mano destra aveva un piccolo catetere, il quale portava ad una flebo attaccata su di un'asta metallica che si muoveva attraverso delle rotelle; finché il trattamento non si sarebbe completato del tutto, se la doveva portare appresso ovunque andava.
Le giornate non potevano passare tranquille, fino a quando quello stato confusionale avrebbe permeato la sua mente e, a quanto aveva capito da certi discorsi in russo - tsk, credevano che fosse un Corer viziato qualunque - rischiava di perseverare a lungo, forse per tutta la vita senza i giusti trattamenti. Le turbe mentali non sono mai da trattare con così tanta leggerezza: in qualsiasi caso possono peggiorare ed arrivare a condizioni altamente instabili e pericolose. In un certo senso, all'inizio girava pure bene, fin tanto che non arrivò lì il padre di Gabriel, dopo essere stato avvertito sicuramente dagli addetti dell'ospedale.
Olaf non era un uomo particolarmente imponente, ma aveva il suo carisma da padre autoritario, da padrone col pugno di ferro non solo verso i propri dipendenti, ma in generale un po' con tutti quelli che gli giravano attorno. Un uomo che, nella vita, aveva imparato a pretendere più che a dare. Un uomo che, nonostante l'acqua limpida della sorgente, non riusciva a coltivare al meglio il suo orticello che rimaneva, puntualmente, arido. Entrò all'interno della sala - ovvero una stanza privata, bene o male Gab godeva della condizione privilegiata di una famiglia borghese in via di arricchimento - e si mise ai piedi del letto, senza nemmeno sedersi, guardando il figlio diritto in faccia. Prese parola, e quello fu un gesto disumano da parte sua. 

"Allora: ho dovuto rimandare incontri importanti di lavoro, e spero per te ragazzaccio che non perda quel grosso incarico. Come pensi che ti possa pagare tutto questo, eh? Non di certo cercando di fare il libero professionista. Tsk. Il libero scansafatiche, caso mai..."

Ed ecco che l'uomo iniziò con la sua classica filippica, sempre pronto a ricordare al figlio quanto gli aveva dato, di tutte le grandi possibilità di vita che aveva di fronte a sé, di come doveva impegnarsi e diventare una persona seria, altrimenti il nome della famiglia ne sarebbe venuto a meno delle sue gesta.

"... quindi tornerò ben presto su Elèira per gli appuntamenti di lavoro. Vediamo di concludere in fretta questa parentesi e di tornare ognuno alle proprie mansioni. Ho già fatto in modo che si mantenga la massima discrezione. Visto cosa fanno i soldi? Visto cosa fanno gli agganci giusti? Tsk..."

A quel punto fece per andarsene, senza più ascoltare il figlio, come se le sue parole fossero l'unico pezzo importante e degno di essere preso in considerazione all'interno di quella stanza. Come un dottore asettico che passa per il controllo giornaliero, la classica routine, Olaf Astrom era passato per leggere la sua diagnosi personale e per dare la sua soluzione personale al paziente. Un paziente in cura che aveva bisogno di un pare, di una famiglia in quel momento, e non di altre medicine da accollarsi per chissà quanto tempo oltre. Di quelle già ne aveva fatto il pieno in precedenza.
Gab, come di suo solito era con la testa china, non reggendo il peso emotivo e l'impatto dello sguardo del padre, così forte e così autoritario in confronto a lui, ad un figlio che subiva tutto solo per sentirsi dire, almeno una volta nella vita, che aveva fatto bene, che stava andando tutto bene, e che loro gli volevano bene. L'uomo stava per uscire quando, infine, il ragazzo prese parola nei suoi confronti.

"Io... io voglio suonare..."

Queste le uniche che uscirono dalle sue labbra in fil di voce. Non alzò nemmeno la testa, ma il padre si fermò di fronte alla porta, con la mano bloccata sulla maniglia. L'uomo aveva l'espressione corrucciata di chi s'era annoiato di quel discorso, fatto e rifatto chissà quante volte nell'arco di chissà quanti mesi, se non addirittura anni. Lasciò la presa sulla maniglia della porta e si avvicinò di nuovo al letto, con un fare sbrigativo che tutto presupponeva tranne che un discorso serio che risultasse essere un vero confronto. No, quelle dovevano essere le solite paroline per dire al figlio, in modo più delicato, velato, 'tu farai quello che dico io, ingrato'. Gabriel, però, riprese parola, con slancio, mugugnante e borbottante. Beh, l'ho detto che oggi un po' di cose sarebbero cambiate. In bene? In peggio? Questo solo il futuro lo potrà dire.

"... e per suonare intendo... si si... che voglio fare il pianista. Io, ehm... voglio continuare gli studi al conservatorio. Quello, si... quello di Cap City è molto buono ed io... io... io... beh si. Non voglio studiare Economia, non mi piace, non fa per me! Ho messo dei soldi da parte, ho lavorato nella biblioteca del complesso universitario e..."

E, a questo punto, non riuscì più a dire una parola. L'uomo all'iniziò osservava esterefatto il ragazzino, e non saprei dirvi se in senso negativo o in senso positivo, e ciò gli permise di continuare per un po' a parlare indisturbato, anche se era pieno di insicurezze e di dubbi. Poi, quando il padre strinse le mani a pugno contro le sbarre del letto, al figlio toccò tornare di nuovo in silenzio a sopportare tutta la caterva di parole che uscì dalla bocca del genitore. L'imprenditore si gonfiò il petto ed acquisì un'aura ancora più di comando, con un tono di voce che rasentava una furia mal celata, eppure nel vocabolario usato non vi era alcuna forma di offesa esplicita e diretta, nemmeno un'imprecazione volgare. Era pura e semplice violenza psicologica. Era un padre amaramente deluso dall'opulenza e dalle facezie di un figlio che non comprendeva quanto questi avesse faticato e rinunciato per arrivare alla sua posizione attuale, il tutto per dare un futuro, un po' di luce alla sua famiglia. Al nome della sua famiglia e, di pianoforti, ne avrebbe potuti avere in gran quantità una volta assicurata la nomea dell'impresa. Sarebbero stati tutti bene, avrebbero potuto avere tutti il necessario per essere felici, tranquilli, agiati. Ed invece no, quel figlio viziato non comprendeva il fare del padre che, con così tanto amore, non s'era mai presentato ad un suo concerto e, al massimo, le rare volte che era capitato, si metteva da parte a lottare contro la disapprovazione e la noia. 

"... allora, a questo punto, addio."

Le ultime parole di quell'uomo tuonarono ed echeggiarono nella stanza - o solo nella testa di Gabriel - come il boato di un tuono dentro una grotta desolata, nel mentre di un temporale. Alla fine uscì ed il figlio sembrava avere un'espressione asettica sul suo volto, come se all'esterno niente avesse modo di venire a galla dopo tutte quelle frase taglienti che si erano versate su di lui, di punta e di striscio, aprendo tante ferite. Credo che da allora non abbia più rivisto Olaf, ne abbia tentato di ricongiungersi o di sapere qualcosa della sua famiglia. Si ranicchiò poi sotto le coperte, tirò fuori una foto di sua sorella e la mise affianco a lui, sul cuscino. Pronunciò poche parole in direzione di quell'immagine.

"... vorrei tanto piangere, ma non ricordo più come si fa."

Nessuno sovvenzionò più le cure del giovane Astrom, così perse la sua camera privata e finì in una stanza comune assieme ad altri pazienti, senza agi e privilegi. Prese le sue medicine, e passò parecchio tempo lì dentro, e lo passò in silenzio, spiccicando poche parole verso infermieri o medici, giusto il poco necessario. Diseredato, non aveva i soldi per permettersi le cure, una volta uscito dall'ospedale, quindi smise di prendere sia le medicine, ne tanto meno fece ulteriori sedute di controllo. A questo punto iniziò una vita nuova, dopo aver subito un secondo e dolorosissimo parto; questa volta troppo grande e cosciente per impedirgli di mantenerne una memoria vivida da portarsi dietro lungo il suo percorso negli anni.

[Scorcio sul BG di Gab, quando venne diseredato dal padre]

mercoledì 11 luglio 2012

04.07.2514

Tremano...
Mi tremano le mani e non riesco a fare a meno di restare fermo, seduto sul letto, con lo sguardo fisso su di loro. Dannazione, questa  sera ho anche un'esibizione in duetto con Amelie, non posso presentarmi in queste condizioni, ne vale della reputazione che mi sto costruendo qui sopra. Della facciata di professionalità che mi sto creando...

Glom...

SMETTETELA! SMETTETELA IMMEDIATAMENTE!

Sig... hic!

No, ti prego, adesso ci manca solo il singhiozzo. Beh, per fortuna non mi pagano per parlare, o per cantare. Solo per suonare ma... se continua così, questa sera avrò delle serie difficoltà. Allora, fermiamoci un attimo, pensiamoci seriamente. Scemo, idiota. Sono io e sono da solo. Mi fermo e ci rifletto. Si. Adesso prendo un tranquillante, una dose leggere, così da non esserne stonato. Fatto ciò, poi passerò al bagno; una bella vasca calda con dei sali è ciò che ci vuole ora. Ci perderò un po' di tempo ma... fa niente. Rimanderò alcune cose da fare a domani.

<pochi minuti dopo: la vasca è fumante di sali profumati e Gab è nudo al suo interno>

Non ci posso credere a quello che è successo poco fa. Ho... ho... ho salvato una vita? Quell'uomo si stava per buttare e nessuno che si faceva avanti. Diamine, nemmeno so cosa mi è passato per la testa, mi sono buttato avanti senza rifletterci sopra, iniziando a parlare più veloce di quanto la mia mente potesse elaborare in preda al panico. Per tutti i demoni! Era lì, sull'orlo di un precipizio, e parlava come se quell'idea fosse la più sensata del 'Verse. E... e... e io gli stavo perfino per dare ragione, ad un certo punto...

<si immerge di più nella vasca, fino a coprire il naso, iniziando a fare le bollicine con l'aria>

No, dai, non ci pensare più. Adesso passa tutto. Chiudi gli occhi e rilassati. Chiudi gli occhi e rilassati. Forse dovrei fare come mi disse Huj quella volta. Uhm, non mi ricordo più, però, come aveva detto di fare. Uff, ma che razza di memoria che ho. E poi, comunque, quell'uomo di è salvato, ha cambiato idea, ha deciso di vivere.
No, non sono stato io a salvarlo, impossibile. Se quell'uomo avesse deciso seriamente, non mi sarebbe nemmeno stato ad ascoltare, sarebbe andato avanti per la sua strada più che deciso. Aveva... aveva solo bisogno che qualcuno gli riportasse a galla qualche sentimento, qualche ricordo, così magari da convincersi che stava facendo la cosa sbagliata. Che era più conveniente tornare indietro.
E l'ha fatto: è tornato indietro, e di certo grazie a me. Io sono solo un ragazzo che è l'ombra di una speranza morta. Sono come un fantasma: il fantasma dei suoi desideri. Le cose, nel 'Verse, non cambiano magari perché io mi ci metto sotto. Io non ho di questi poteri, non ho di queste facoltà! Qualunque sia il sistema, la mia voce non può convincere le persone, se le persone non ci hanno già pensato da sole, se non ci hanno già riflettuto con la loro testa...

<chiude gli occhi, trattiene il respiro e immerge tutta la testa>

Diamine! A pensarci stavo quasi per farmela nei pantaloni! 

[Scorcio sulla giornata di Gab, prima della serata di miss Dufour]

domenica 8 luglio 2012

Citazioni di un Anonimo

"Si dice che la vita di una persona votata all'arte, diventi arte stessa. Eppure l'arte, per giungere alla sua realizzazione, maturità e forma completa, passa attraverso degli stati caotici e controversi, indulgenti contrasti di sentimenti e confusionari stati d'emozioni. L'arte è una forma di genialità: se non sai come tenerla sotto giogo, essa ti trascina con sé in un baratro buio senza fondo.
In fin dei conti, non per nulla possiamo trovare in differenti menti il seme inoculato di una paradossale patologia d'animo, uomini e donne che, nella loro vita, hanno sentito il bisogno di lasciare qualcosa al mondo, di prendere in mano quello che può essere uno scalpello, un pennello, un pennino o quant'altro, tentando di esternare ciò che provano dentro. Uomini e donne alle volte forti e capaci di dominare sé stessi e ciò in cui andavano incontro, alle volte, invece, passivi e lascivi che si sono lasciati trascinare, semplicemente, da una promessa tacita nella quale si sentiva il bisogno di credere, ma che in realtà non è mai stata fatta. Vite poste sulle croci del pregiudizio, oppure dei tabù delle rispettive epoche, capaci di essere saggiate nella loro pienezza, di essere ammirate solo ed esclusivamente nel martirio di una società che li lascia da soli ed allo sbando, ritenendoli superflui, fuori luogo, contro corrente. Semplicemente scomodi.
Un buio costante eppure pulsante, quasi come pareti che si contraggono e poi si ritraggono, in continuazione, come i battiti del loro cuore, eppure più grandi e terrificanti, tanto da non sopportare più quella solitudine che echeggia nel loro sentito emozionale. Soli anche in mezzo alla gloria. Soli anche fra folle concitanti che esultano il nome dell'artista. Qui, probabilmente, nasce il loro male di esistere, quella incapacità di esprimersi in toto che, nonostante continui ad essere contrastata, pare essere il fulcro assoluto, l'abisso imperscrutabile, il perno di un'intera esistenza. L'arte, a questo punto, non è altro che il rigetto di una malinconia subdola e straziante che spinge l'essere umano a dare di più, sempre di più, fino a spremerlo del tutto ed a lasciarlo senza più sangue. Senza più scintilla di vita alcuna, poiché la fiamma dell'estro ha eroso e consumato l'aria di cui si nutriva."

[Particolare della tesina di Gab per la Maturità Umanistica]

venerdì 6 luglio 2012

Caos di un'Esplosione Silenziosa

"Era fermo e silenzioso da giorni. Ultimamente gli capitava sempre più spesso di rotolarsi fra le lenzuola del letto, in quello stato, perso in un limbo in cui il tempo trascorreva, ma in cui i suoi pensieri, invece, rimanevano statici. Il fatto che il padre avesse scelto per lui un appartamento intero, lasciandolo da solo senza coinquilini, non l'ha molto aiutato nella sua presa di coscienza con le relazioni umane, al di fuori di sé stesso e della famiglia. Troppo timido, troppo indeciso, troppo silenzioso. Troppi troppo e, alla fine, seguendo questa scia umida e sudaticcia del suo sentito, Gab s'è ritrovato senza più una qualche motivazione per decidere di alzarsi ed uscire fuori da quella porta.
Di tanto in tanto si alzava giusto per mangiare, per bere e per compiere i suoi bisogni giornalieri; il tutto era condito da una svogliatezza che lo rendeva sempre più simile ad un bradipo, invece che ad un essere umano. Non si vestiva nemmeno più, direttamente nudo da mattina a sera, senza soffrire né il freddo e né il caldo, grazie all'aria tenuta costantemente sotto controllo dai circuiti interni di climatizzazione. Non seguiva più un corso all'università, s'era lasciato andare del tutto chiudendosi nel suo piccolo guscio fatto da puntaspilli, splendido esemplare di riccio al quale andava ad assomigliare sempre di più, destandosi di tanto in tanto solo grazie allo scambio postale che intratteneva con la sorella. Quante bugie le avrà detto per non farla preoccupare, per far sì che non si rendesse conto del suo stato d'animo - e non solo quello - che, però, sceglieva le parole al posto suo, intrecci di sensi che, alla fine, nemmeno si rendeva conto dei messaggi che essi potevano nascondere se letti fra le righe.
Stava perdendo tutto, piano piano: la sua umanità andava via via a sgretolarsi fra le mani di una coscienza che lavava i panni in una pozza di fango, ormai stufa di quel ricambio del quale doveva prendersi il merito continuo, di purezza e limpidità. E' difficile, a questo punto, che una semplice traccia di lui decidesse di farsi forza e di farla anche agli altri stati del suo Io; quel coro armonioso che cantava contro il vento, ormai s'è spezzato. Gab ne aveva preso coscienza e, alla fine, stava per soccombere al di sotto di questo peso.
Non c'era più una foto integra della sua famiglia, lo spauracchio del padre continuava ad andargli contro e lui l'assecondava, nella speranza che un giorno lo lasciasse in pace, che dopo tutti i contentini richiesti, magari lui ne avrebbe lasciato qualcuno a pro del figlio. Chi è avaro, però, non ha mai da accontentarsi e, Olaf Astrom, aveva lasciato sulle spalle del figlio la pendenza di un fantasma quasi vivido e carnale che stava sempre lì a respirargli sul collo, quasi avesse effettiva consistenza per lui. Ed era un singhiozzare continuo, ma il pianto non s'era mai riuscito a consumarsi, tenendo le sue braccia consolatorie lontane dall'animo di Gab, quasi ne avesse timore, terrore, un'insano ed orripilante raccapriccio.
Più andava avanti, più non aveva idea sul da farsi. Più il tempo trascorreva, più la sua mente invece si chiudeva negli eventi del passato, tenendo lontano da lui qualsiasi luce aleatoria che potesse provenire dalle speranze del futuro. Nessuno scintillio di colori fra accostamenti di grigi e di neri, fino a diventare una pura notte assoluta, senza stelle.
Quante parole, semplice immaginazione, un tentativo continuo di spiegare qualcosa che, se non si ha provato nella vita, difficilmente lo si può comprendere. E' una malattia dell'animo che cova fra i sentimenti di un individuo, ed al posto del cuore ci si ritrova con un macigno talmente pesante che non si riesce nemmeno più a camminare dritti. Sempre, ovviamente, nel caso in cui, alzandosi dal letto, si riesca a compiere più di qualche passo, l'uno dopo l'altro, per un tragitto continuo almeno di dieci minuti. Gli ha fatto del male, diamine quanto gliene ha fatto. E l'ha fatto così violentemente che non c'è nessuna legge planetaria che trova punizione adatta, lasciando così che nella società questa forma di barbarie potesse continuare ad attecchire senza problemi. E l'ha fatto con così tanta naturalezza, che il ragazzo si trovava a disagio nella sola idea di confessarglielo, in quanto per lui sembrava un'azione ovvia, giusta e dovuta, da parte di coloro che l'hanno indotto a ciò. Debole, solo perché sensibile."

[Scorcio sul BG di Gab, prima che mollasse gli studi di Economia]