martedì 24 luglio 2012

Avrei Tanto Voluto Piangere

Gabriel si trovava in un letto d'ospedale, con la pancia tutta sotto-sopra a causa della lavanda gastrica che gli era stata fatta la sera prima. Aveva passato una notte intera ad andare e venire dal bagno, senza riuscire a dormire nemmeno per mezz'ora di fila. La mattina dopo era crollato per la stanchezza ma, nonostante ciò, continuava ad alzarsi di tanto in tanto per andare ad epurare gli eccessi che il corpo stava tentando di eliminare. Alla mano destra aveva un piccolo catetere, il quale portava ad una flebo attaccata su di un'asta metallica che si muoveva attraverso delle rotelle; finché il trattamento non si sarebbe completato del tutto, se la doveva portare appresso ovunque andava.
Le giornate non potevano passare tranquille, fino a quando quello stato confusionale avrebbe permeato la sua mente e, a quanto aveva capito da certi discorsi in russo - tsk, credevano che fosse un Corer viziato qualunque - rischiava di perseverare a lungo, forse per tutta la vita senza i giusti trattamenti. Le turbe mentali non sono mai da trattare con così tanta leggerezza: in qualsiasi caso possono peggiorare ed arrivare a condizioni altamente instabili e pericolose. In un certo senso, all'inizio girava pure bene, fin tanto che non arrivò lì il padre di Gabriel, dopo essere stato avvertito sicuramente dagli addetti dell'ospedale.
Olaf non era un uomo particolarmente imponente, ma aveva il suo carisma da padre autoritario, da padrone col pugno di ferro non solo verso i propri dipendenti, ma in generale un po' con tutti quelli che gli giravano attorno. Un uomo che, nella vita, aveva imparato a pretendere più che a dare. Un uomo che, nonostante l'acqua limpida della sorgente, non riusciva a coltivare al meglio il suo orticello che rimaneva, puntualmente, arido. Entrò all'interno della sala - ovvero una stanza privata, bene o male Gab godeva della condizione privilegiata di una famiglia borghese in via di arricchimento - e si mise ai piedi del letto, senza nemmeno sedersi, guardando il figlio diritto in faccia. Prese parola, e quello fu un gesto disumano da parte sua. 

"Allora: ho dovuto rimandare incontri importanti di lavoro, e spero per te ragazzaccio che non perda quel grosso incarico. Come pensi che ti possa pagare tutto questo, eh? Non di certo cercando di fare il libero professionista. Tsk. Il libero scansafatiche, caso mai..."

Ed ecco che l'uomo iniziò con la sua classica filippica, sempre pronto a ricordare al figlio quanto gli aveva dato, di tutte le grandi possibilità di vita che aveva di fronte a sé, di come doveva impegnarsi e diventare una persona seria, altrimenti il nome della famiglia ne sarebbe venuto a meno delle sue gesta.

"... quindi tornerò ben presto su Elèira per gli appuntamenti di lavoro. Vediamo di concludere in fretta questa parentesi e di tornare ognuno alle proprie mansioni. Ho già fatto in modo che si mantenga la massima discrezione. Visto cosa fanno i soldi? Visto cosa fanno gli agganci giusti? Tsk..."

A quel punto fece per andarsene, senza più ascoltare il figlio, come se le sue parole fossero l'unico pezzo importante e degno di essere preso in considerazione all'interno di quella stanza. Come un dottore asettico che passa per il controllo giornaliero, la classica routine, Olaf Astrom era passato per leggere la sua diagnosi personale e per dare la sua soluzione personale al paziente. Un paziente in cura che aveva bisogno di un pare, di una famiglia in quel momento, e non di altre medicine da accollarsi per chissà quanto tempo oltre. Di quelle già ne aveva fatto il pieno in precedenza.
Gab, come di suo solito era con la testa china, non reggendo il peso emotivo e l'impatto dello sguardo del padre, così forte e così autoritario in confronto a lui, ad un figlio che subiva tutto solo per sentirsi dire, almeno una volta nella vita, che aveva fatto bene, che stava andando tutto bene, e che loro gli volevano bene. L'uomo stava per uscire quando, infine, il ragazzo prese parola nei suoi confronti.

"Io... io voglio suonare..."

Queste le uniche che uscirono dalle sue labbra in fil di voce. Non alzò nemmeno la testa, ma il padre si fermò di fronte alla porta, con la mano bloccata sulla maniglia. L'uomo aveva l'espressione corrucciata di chi s'era annoiato di quel discorso, fatto e rifatto chissà quante volte nell'arco di chissà quanti mesi, se non addirittura anni. Lasciò la presa sulla maniglia della porta e si avvicinò di nuovo al letto, con un fare sbrigativo che tutto presupponeva tranne che un discorso serio che risultasse essere un vero confronto. No, quelle dovevano essere le solite paroline per dire al figlio, in modo più delicato, velato, 'tu farai quello che dico io, ingrato'. Gabriel, però, riprese parola, con slancio, mugugnante e borbottante. Beh, l'ho detto che oggi un po' di cose sarebbero cambiate. In bene? In peggio? Questo solo il futuro lo potrà dire.

"... e per suonare intendo... si si... che voglio fare il pianista. Io, ehm... voglio continuare gli studi al conservatorio. Quello, si... quello di Cap City è molto buono ed io... io... io... beh si. Non voglio studiare Economia, non mi piace, non fa per me! Ho messo dei soldi da parte, ho lavorato nella biblioteca del complesso universitario e..."

E, a questo punto, non riuscì più a dire una parola. L'uomo all'iniziò osservava esterefatto il ragazzino, e non saprei dirvi se in senso negativo o in senso positivo, e ciò gli permise di continuare per un po' a parlare indisturbato, anche se era pieno di insicurezze e di dubbi. Poi, quando il padre strinse le mani a pugno contro le sbarre del letto, al figlio toccò tornare di nuovo in silenzio a sopportare tutta la caterva di parole che uscì dalla bocca del genitore. L'imprenditore si gonfiò il petto ed acquisì un'aura ancora più di comando, con un tono di voce che rasentava una furia mal celata, eppure nel vocabolario usato non vi era alcuna forma di offesa esplicita e diretta, nemmeno un'imprecazione volgare. Era pura e semplice violenza psicologica. Era un padre amaramente deluso dall'opulenza e dalle facezie di un figlio che non comprendeva quanto questi avesse faticato e rinunciato per arrivare alla sua posizione attuale, il tutto per dare un futuro, un po' di luce alla sua famiglia. Al nome della sua famiglia e, di pianoforti, ne avrebbe potuti avere in gran quantità una volta assicurata la nomea dell'impresa. Sarebbero stati tutti bene, avrebbero potuto avere tutti il necessario per essere felici, tranquilli, agiati. Ed invece no, quel figlio viziato non comprendeva il fare del padre che, con così tanto amore, non s'era mai presentato ad un suo concerto e, al massimo, le rare volte che era capitato, si metteva da parte a lottare contro la disapprovazione e la noia. 

"... allora, a questo punto, addio."

Le ultime parole di quell'uomo tuonarono ed echeggiarono nella stanza - o solo nella testa di Gabriel - come il boato di un tuono dentro una grotta desolata, nel mentre di un temporale. Alla fine uscì ed il figlio sembrava avere un'espressione asettica sul suo volto, come se all'esterno niente avesse modo di venire a galla dopo tutte quelle frase taglienti che si erano versate su di lui, di punta e di striscio, aprendo tante ferite. Credo che da allora non abbia più rivisto Olaf, ne abbia tentato di ricongiungersi o di sapere qualcosa della sua famiglia. Si ranicchiò poi sotto le coperte, tirò fuori una foto di sua sorella e la mise affianco a lui, sul cuscino. Pronunciò poche parole in direzione di quell'immagine.

"... vorrei tanto piangere, ma non ricordo più come si fa."

Nessuno sovvenzionò più le cure del giovane Astrom, così perse la sua camera privata e finì in una stanza comune assieme ad altri pazienti, senza agi e privilegi. Prese le sue medicine, e passò parecchio tempo lì dentro, e lo passò in silenzio, spiccicando poche parole verso infermieri o medici, giusto il poco necessario. Diseredato, non aveva i soldi per permettersi le cure, una volta uscito dall'ospedale, quindi smise di prendere sia le medicine, ne tanto meno fece ulteriori sedute di controllo. A questo punto iniziò una vita nuova, dopo aver subito un secondo e dolorosissimo parto; questa volta troppo grande e cosciente per impedirgli di mantenerne una memoria vivida da portarsi dietro lungo il suo percorso negli anni.

[Scorcio sul BG di Gab, quando venne diseredato dal padre]

mercoledì 11 luglio 2012

04.07.2514

Tremano...
Mi tremano le mani e non riesco a fare a meno di restare fermo, seduto sul letto, con lo sguardo fisso su di loro. Dannazione, questa  sera ho anche un'esibizione in duetto con Amelie, non posso presentarmi in queste condizioni, ne vale della reputazione che mi sto costruendo qui sopra. Della facciata di professionalità che mi sto creando...

Glom...

SMETTETELA! SMETTETELA IMMEDIATAMENTE!

Sig... hic!

No, ti prego, adesso ci manca solo il singhiozzo. Beh, per fortuna non mi pagano per parlare, o per cantare. Solo per suonare ma... se continua così, questa sera avrò delle serie difficoltà. Allora, fermiamoci un attimo, pensiamoci seriamente. Scemo, idiota. Sono io e sono da solo. Mi fermo e ci rifletto. Si. Adesso prendo un tranquillante, una dose leggere, così da non esserne stonato. Fatto ciò, poi passerò al bagno; una bella vasca calda con dei sali è ciò che ci vuole ora. Ci perderò un po' di tempo ma... fa niente. Rimanderò alcune cose da fare a domani.

<pochi minuti dopo: la vasca è fumante di sali profumati e Gab è nudo al suo interno>

Non ci posso credere a quello che è successo poco fa. Ho... ho... ho salvato una vita? Quell'uomo si stava per buttare e nessuno che si faceva avanti. Diamine, nemmeno so cosa mi è passato per la testa, mi sono buttato avanti senza rifletterci sopra, iniziando a parlare più veloce di quanto la mia mente potesse elaborare in preda al panico. Per tutti i demoni! Era lì, sull'orlo di un precipizio, e parlava come se quell'idea fosse la più sensata del 'Verse. E... e... e io gli stavo perfino per dare ragione, ad un certo punto...

<si immerge di più nella vasca, fino a coprire il naso, iniziando a fare le bollicine con l'aria>

No, dai, non ci pensare più. Adesso passa tutto. Chiudi gli occhi e rilassati. Chiudi gli occhi e rilassati. Forse dovrei fare come mi disse Huj quella volta. Uhm, non mi ricordo più, però, come aveva detto di fare. Uff, ma che razza di memoria che ho. E poi, comunque, quell'uomo di è salvato, ha cambiato idea, ha deciso di vivere.
No, non sono stato io a salvarlo, impossibile. Se quell'uomo avesse deciso seriamente, non mi sarebbe nemmeno stato ad ascoltare, sarebbe andato avanti per la sua strada più che deciso. Aveva... aveva solo bisogno che qualcuno gli riportasse a galla qualche sentimento, qualche ricordo, così magari da convincersi che stava facendo la cosa sbagliata. Che era più conveniente tornare indietro.
E l'ha fatto: è tornato indietro, e di certo grazie a me. Io sono solo un ragazzo che è l'ombra di una speranza morta. Sono come un fantasma: il fantasma dei suoi desideri. Le cose, nel 'Verse, non cambiano magari perché io mi ci metto sotto. Io non ho di questi poteri, non ho di queste facoltà! Qualunque sia il sistema, la mia voce non può convincere le persone, se le persone non ci hanno già pensato da sole, se non ci hanno già riflettuto con la loro testa...

<chiude gli occhi, trattiene il respiro e immerge tutta la testa>

Diamine! A pensarci stavo quasi per farmela nei pantaloni! 

[Scorcio sulla giornata di Gab, prima della serata di miss Dufour]

domenica 8 luglio 2012

Citazioni di un Anonimo

"Si dice che la vita di una persona votata all'arte, diventi arte stessa. Eppure l'arte, per giungere alla sua realizzazione, maturità e forma completa, passa attraverso degli stati caotici e controversi, indulgenti contrasti di sentimenti e confusionari stati d'emozioni. L'arte è una forma di genialità: se non sai come tenerla sotto giogo, essa ti trascina con sé in un baratro buio senza fondo.
In fin dei conti, non per nulla possiamo trovare in differenti menti il seme inoculato di una paradossale patologia d'animo, uomini e donne che, nella loro vita, hanno sentito il bisogno di lasciare qualcosa al mondo, di prendere in mano quello che può essere uno scalpello, un pennello, un pennino o quant'altro, tentando di esternare ciò che provano dentro. Uomini e donne alle volte forti e capaci di dominare sé stessi e ciò in cui andavano incontro, alle volte, invece, passivi e lascivi che si sono lasciati trascinare, semplicemente, da una promessa tacita nella quale si sentiva il bisogno di credere, ma che in realtà non è mai stata fatta. Vite poste sulle croci del pregiudizio, oppure dei tabù delle rispettive epoche, capaci di essere saggiate nella loro pienezza, di essere ammirate solo ed esclusivamente nel martirio di una società che li lascia da soli ed allo sbando, ritenendoli superflui, fuori luogo, contro corrente. Semplicemente scomodi.
Un buio costante eppure pulsante, quasi come pareti che si contraggono e poi si ritraggono, in continuazione, come i battiti del loro cuore, eppure più grandi e terrificanti, tanto da non sopportare più quella solitudine che echeggia nel loro sentito emozionale. Soli anche in mezzo alla gloria. Soli anche fra folle concitanti che esultano il nome dell'artista. Qui, probabilmente, nasce il loro male di esistere, quella incapacità di esprimersi in toto che, nonostante continui ad essere contrastata, pare essere il fulcro assoluto, l'abisso imperscrutabile, il perno di un'intera esistenza. L'arte, a questo punto, non è altro che il rigetto di una malinconia subdola e straziante che spinge l'essere umano a dare di più, sempre di più, fino a spremerlo del tutto ed a lasciarlo senza più sangue. Senza più scintilla di vita alcuna, poiché la fiamma dell'estro ha eroso e consumato l'aria di cui si nutriva."

[Particolare della tesina di Gab per la Maturità Umanistica]

venerdì 6 luglio 2012

Caos di un'Esplosione Silenziosa

"Era fermo e silenzioso da giorni. Ultimamente gli capitava sempre più spesso di rotolarsi fra le lenzuola del letto, in quello stato, perso in un limbo in cui il tempo trascorreva, ma in cui i suoi pensieri, invece, rimanevano statici. Il fatto che il padre avesse scelto per lui un appartamento intero, lasciandolo da solo senza coinquilini, non l'ha molto aiutato nella sua presa di coscienza con le relazioni umane, al di fuori di sé stesso e della famiglia. Troppo timido, troppo indeciso, troppo silenzioso. Troppi troppo e, alla fine, seguendo questa scia umida e sudaticcia del suo sentito, Gab s'è ritrovato senza più una qualche motivazione per decidere di alzarsi ed uscire fuori da quella porta.
Di tanto in tanto si alzava giusto per mangiare, per bere e per compiere i suoi bisogni giornalieri; il tutto era condito da una svogliatezza che lo rendeva sempre più simile ad un bradipo, invece che ad un essere umano. Non si vestiva nemmeno più, direttamente nudo da mattina a sera, senza soffrire né il freddo e né il caldo, grazie all'aria tenuta costantemente sotto controllo dai circuiti interni di climatizzazione. Non seguiva più un corso all'università, s'era lasciato andare del tutto chiudendosi nel suo piccolo guscio fatto da puntaspilli, splendido esemplare di riccio al quale andava ad assomigliare sempre di più, destandosi di tanto in tanto solo grazie allo scambio postale che intratteneva con la sorella. Quante bugie le avrà detto per non farla preoccupare, per far sì che non si rendesse conto del suo stato d'animo - e non solo quello - che, però, sceglieva le parole al posto suo, intrecci di sensi che, alla fine, nemmeno si rendeva conto dei messaggi che essi potevano nascondere se letti fra le righe.
Stava perdendo tutto, piano piano: la sua umanità andava via via a sgretolarsi fra le mani di una coscienza che lavava i panni in una pozza di fango, ormai stufa di quel ricambio del quale doveva prendersi il merito continuo, di purezza e limpidità. E' difficile, a questo punto, che una semplice traccia di lui decidesse di farsi forza e di farla anche agli altri stati del suo Io; quel coro armonioso che cantava contro il vento, ormai s'è spezzato. Gab ne aveva preso coscienza e, alla fine, stava per soccombere al di sotto di questo peso.
Non c'era più una foto integra della sua famiglia, lo spauracchio del padre continuava ad andargli contro e lui l'assecondava, nella speranza che un giorno lo lasciasse in pace, che dopo tutti i contentini richiesti, magari lui ne avrebbe lasciato qualcuno a pro del figlio. Chi è avaro, però, non ha mai da accontentarsi e, Olaf Astrom, aveva lasciato sulle spalle del figlio la pendenza di un fantasma quasi vivido e carnale che stava sempre lì a respirargli sul collo, quasi avesse effettiva consistenza per lui. Ed era un singhiozzare continuo, ma il pianto non s'era mai riuscito a consumarsi, tenendo le sue braccia consolatorie lontane dall'animo di Gab, quasi ne avesse timore, terrore, un'insano ed orripilante raccapriccio.
Più andava avanti, più non aveva idea sul da farsi. Più il tempo trascorreva, più la sua mente invece si chiudeva negli eventi del passato, tenendo lontano da lui qualsiasi luce aleatoria che potesse provenire dalle speranze del futuro. Nessuno scintillio di colori fra accostamenti di grigi e di neri, fino a diventare una pura notte assoluta, senza stelle.
Quante parole, semplice immaginazione, un tentativo continuo di spiegare qualcosa che, se non si ha provato nella vita, difficilmente lo si può comprendere. E' una malattia dell'animo che cova fra i sentimenti di un individuo, ed al posto del cuore ci si ritrova con un macigno talmente pesante che non si riesce nemmeno più a camminare dritti. Sempre, ovviamente, nel caso in cui, alzandosi dal letto, si riesca a compiere più di qualche passo, l'uno dopo l'altro, per un tragitto continuo almeno di dieci minuti. Gli ha fatto del male, diamine quanto gliene ha fatto. E l'ha fatto così violentemente che non c'è nessuna legge planetaria che trova punizione adatta, lasciando così che nella società questa forma di barbarie potesse continuare ad attecchire senza problemi. E l'ha fatto con così tanta naturalezza, che il ragazzo si trovava a disagio nella sola idea di confessarglielo, in quanto per lui sembrava un'azione ovvia, giusta e dovuta, da parte di coloro che l'hanno indotto a ciò. Debole, solo perché sensibile."

[Scorcio sul BG di Gab, prima che mollasse gli studi di Economia]