giovedì 4 ottobre 2012

Light up the Day

"Illumina la giornata. O qualcosa del genere... così diceva quel tatuaggio che avevi sul petto, vero? E' da molto tempo che non sento più parlare di te, eppure mi ricordo ancora di quando ci incontrammo, di come ci conoscemmo. Sono passati dieci anni da allora, ma giurerei che fosse accaduto solamente ieri.
Io avevo 16 anni appena compiuti, a festeggiare nella nuova residenza su Corona di mio zio materno, mentre tu ne avevi 25 - un bel po' di differenza, insomma, per quell'età - ed eri lì per lavorare all'interno delle stalle, a tenere cura dei cavalli e del campo da corsa, che fosse sempre in ordine, che tutto fosse sempre apposto. Insomma, rischiavi anche di ritrovarti senza lavoro, altrimenti, mi pareva ovvio che ci dassi sotto dalla tua posizione.
Mi ricordo che di te mi attrasse subito il tuo comportamento: la tua sicurezza, il tuo essere un po' menefreghista e spavaldo, il tuo scudo contro il resto del mondo, o la tua forza contro di esso. Di quante cose mi parlavi ed io le sognavo come fossero favole, e non realtà alle quali potevo aspirare allungando la mano. Tu avevi quel pizzico di cui io sentivo il bisogno, quella piccola spinta in più che mi avrebbe aiutato a ricercare la mia felicità, di rompere le mie catene da mio padre, dalla mia famiglia. Da una parte ti invidiavo, dall'altra invece ti ammiravo. Eravamo due realtà differenti, a partire dai mondi di provenienza, i ceti sociali, passando per l'età ed arrivando, infine, alla mia ingenuità da sognatore ed alla tua esperenzia maturata troppo velocemente.
Io, per starti vicino, approfittavo di ogni momento per imparare a cavalcare. Insomma, non sono diventato certo un cowboy, ma se sono capace di restare in sella e di domare un cavallo, lo debbo a te. Chissà com'è, sembra che riesco ad instaurare un feeling migliore con gli animali, invece che con le persone. Comunque, sono abbastanza sicuro di come tu ti sia accorto dei miei sguardi, dei miei imbarazzi, della mia gola secca e delle mie mani sudate. Oh, tu avevi quell'esperienza che a me mancava, fatta sul campo. Oltre alle lezioni di equitazione, venivo spesso anche dentro le stalle, a parlare dei cavalli, di quello che mi aveva gentilmente concesso lo zio, sotto mia richiesta, ma anche di tutti gli altri. Credo che, in realtà, 3/4 delle cose che mi hai detto io non le abbia realmente ascoltate, immagazzinate.
E poi? Alla fine accadde il fattaccio: ci ritrovammo a strofinare le nostri pelle nude, in mezzo al fieno, ad accarezzare le nostre labbra in gemiti muti. Ogni incontro era segreto, furtivo, come se fosse alla soglia dell'illegalità, una condizione illecita che rendeva il tutto così eccitante ai miei occhi. Mi sentivo libero e, allo stesso tempo, sicuro. Sentivo il mio cuore battere di una gioia che prima non avevo provato. Avevo fatto la mia scelta ed era stato il tempo stesso a dettarla, con le sue esperienze e le sue occasioni. Comunque, nessuno doveva sapere niente, altrimenti avremmo rischiato entrambi. Beh, probabilmente tu più di me, indubbiamente. Che fosse stata una relazione seria, oppure una semplice cotta estiva, tutto sarebbe dovuto rimanere stretto fra quelle mura di legno, dove i cavalli non avrebbero parlato a nessuno del nostro segreto, così pressante e pregnante che mi sembrava che ogni oggetto, lì dentro, si identificasse con noi due. Io non avevo occhi per altro. Non mi rendevo conto di cos'altro accadesse attorno a me.
Alla fine, come è giusto che accade, tutti ci svegliamo dal sonno, ponendo fine ai nostri sogni. Stava finendo la stagione, io me ne sarei tornato a casa con la mia famiglia, magari noi ci saremmo incontrati saltuariamente, almeno per gli inizi, nelle mie varie visite allo zio materno, nella sua tenuta su Corona. Venni a cercarti per parlarti ma non ti trovai. In cambio c'era mio padre. Mi si gelò il sangue nelle vene quando lo vidi lì, nella stalla, fra i cavalli, la dove si ergeva il nostro intimo tempio, dove consumavamo i nostri momenti sacrali. Affinai le labbra e deglutì, poi abbassai il capo come un cane di fronte al padrone con la mazza. Le mie scorribande erano finite. Mio padre mi disse che niente sarebbe uscito fuori da quelle mura, che nessuno avrebbe saputo niente di questa storia. Non gliene fregava nulla di chi si intrufolasse nel mio letto, che questa era una semplice sbandata adolescenziale e che, per il bene della famiglia, io avrei avuto una donna adatta al mio ceto sociale, al mio fianco, con la quale avere dei figli.
Mi piacerebbe avere dei figli, una famiglia un giorno, ma so è una parentesi che non mi va di aprire in questo momento.
Insomma, alla fine uscì fuori che mio padre ti aveva pagato profumatamente per andartene, per sparire e stare zitto, e che tu avevi accettato tutto senza nemmeno fiatare. Alla fine uscì fuori che tu eri un cacciatore di dote, che prima di me ci avevi provato con Vivi senza cavarne niente, però. Io ero lo sciocco, l'ingenuo, il sognatore, quello con la testa fra le nebulose, preda ambita ma facile che ti avrebbe saziato. Con me c'eri riuscito... e poi sei andato via senza nemmeno la tua dote, ma con un bel po' di soldi per ricominciare bene da qualche altra parte, a cercare la fortuna a cui auspicavi. Se non ero io, sarebbe stato un altro, od un'altra? Beh, non importa. Il fatto vuole che è stato comunque il mio cuore quello ad essere trafugato. Nessun addio, nemmeno una lettera scritta. Hai fatto perdere subito le tue tracce ed io non ho voluto inseguirti.
Dopo di te non ci fu nient'altro. Si, mi capitò qualche storia, anche qualche relazione promisqua a dire il vero, ma niente di serio e duraturo, il semplice bisogno impellente, alle volte, di mettere a tacere i miei bisogni fisiologici. Niente di più, tutto che nacque e morì nell'istante della necessità. Il mio cuore fu trafugato dieci anni fa, circa. Anzi, per meglio dire: io lo donai a te, probabilmente finì nei tuoi panni sporchi e sdrucidi che portavano l'odore tuo, del lavoro, ed il mio, della mia passione. Quando avrai fatto le valigie per partire, probabilmente, non ti sei nemmeno accorto che era dentro la tasca di un jeans, o di una camicia. Oppure, chissà, l'hai abbandonato da qualche parte quando hai comprato degli abiti nuovi, pregiati e puliti, profumati, ora che te li potevi permettere.
Ed il mio cuore, chissà, dov'è rimasto..."

[Scorcio sull'adolescenza di Gab, la sua prima esperienza]

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